Pensieri in viaggio

Viaggiare significa aggiungere vita alla vita.

(Gesualdo Bufalino) [1]

Rientrare da un periodo di vacanze o da un’occasione d’incontro con gli amici più cari, crea spesso un quieto filo di pensieri; sono immagini dolcemente nostalgiche, che si affastellano una sull’altra come fogli di carta e che, dopo aver creato un sorriso o una fitta di malinconia, si nascondono un po’ disordinate in un angolo della memoria, pronte a saltare fuori alla prossima ventata di ricordi.

Ci penso rientrando dal nostro ormai consueto soggiorno in Salento, terra che tanto ci appaga e ogni anno ci propone nuovi stimoli e bellezze.

Guido in silenzio e, macinando i chilometri che sono davvero tanti, risaliamo un po’ alla volta verso nord. Accanto a me Emanuela riposa.

In un lampo i miei pensieri attraversano tutta una vita, partendo da molto lontano.

Anche da bambino per le vacanze estive la destinazione era la Puglia, tutta la famiglia ospite dei nonni. Cerco velocemente di mettere a fuoco i loro volti per essere sicuro di ricordarli ancora bene.

Così, da un pensiero all’altro, mi ritorna alla mente il bisbiglio, uguale e diverso, del Rosario recitato dalle mie due nonne nei caldi pomeriggi estivi, le persiane socchiuse a favorire la penombra e la frescura delle case con i muri di tufo.

E mi sembra di sentire il suono leggero del respiro “canticchiato” di mio nonno che andava a tempo con i suoi passi.

La mia mano di bimbo era piccolissima nella mano di quell’omone così pacato e paziente.

Pensavo di lui che era una persona molto importante: non poteva essere diversamente, era il padre di mia mamma!

Oggi non potrei più sentire questi suoni ma li ho nel cuore che è lo strumento migliore per ascoltare.

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[1] Gesualdo Bufalino (Comiso, 15 novembre 1920 – Vittoria, 14 giugno 1996) è stato uno scrittore e poeta italiano.

E poi ricordo ancora molto bene i suoni e i profumi della vendemmia in settembre; mia nonna aveva delle campagne e, approfittando della presenza di mio padre in paese, lo spediva a seguire i lavori. E io con lui.

Ricordo il suono delle voci dei lavoratori che si chiamavano e parlavano tra i filari, scherzando e prendendosi in giro.

Non nascondo che, in quelle occasioni, io mi sentivo un po’ straniero; ero un bambino pallidino, con gli occhi chiari e biondo, quasi albino, che non era quasi per nulla abituato a sentire parlare il dialetto.

Mia madre, poi, mi vestiva come un piccolo inglesino e mi pettinava come Caterina Caselli (mi vergogno e sorrido ancora adesso quando vedo le vecchie foto).

Credo che, con il loro bel dialetto stretto, i contadini prendessero in giro soprattutto me, aggrappato alla mano di mio padre.

Davanti a molti filari di vite c’era una pianta di rose e in un altro podere un enorme albero di melograno spiccava in mezzo a una distesa di ulivi secolari con magnifiche chiome verdi e argento.

Ogni tanto la brezza passava tra i rami e creava un piacevole fruscio, era il fischiettare discreto e rilassato di quei giganti (ora è la Menière a fischiare e sibilare, e non è discreta ne rilassata).

Suoni forse perduti; dovrei provare a tornare in Puglia nel periodo della vendemmia e capire se qualcosa di tutto questo è ancora presente.

Gli ulivi purtroppo no.

E siccome la mente è veloce e regina dei pensieri, il termine fruscio mi ha fatto tornare in mente gli epocali viaggi di ritorno dalla Puglia a vacanza finita.

Mi sembra ancora di sentire il pianto sommesso di mia nonna paterna dietro la porta e mio padre che diceva “cominciate a scendere e salite in auto, arrivo subito”.

E finalmente in auto, si torna.

L’automobile, pur grande, traboccava di genitori, quattro figli, un cane, venti valigie, bagagli di vario genere (non sto a raccontare le discussioni pre-partenza tra mio padre e mia madre la quale avrebbe portato anche la sala da pranzo e perché no? “la libreria non ci starebbe? non si sa mai per i ragazzi…”).

A tutto questo, nel viaggio di ritorno, si andava a sommare una considerevole quantità di provviste alimentari che i nonni avevano procurato, scegliendo con amore le cose che più ci piacevano, e poi qualche melone, una cassetta di uva e fichi, “ah, aspetta aspetta, c’è una latta di olio di quello buono”.

Il tutto, adulti, bambini, animali, cose e alimenti, alla fine trovava in qualche modo una sua buona collocazione, e viaggiava attraversando l’Italia in allegria e rigorosamente senza aria condizionata.

In occasione del viaggio io mi costruivo, ogni volta, un piccolo volante fatto con il coperchio di polistirolo delle torte gelato (immancabile dolce dell’ultimo pranzo prima della ripartenza), perché così avrei imitato ma soprattutto aiutato nella guida mio padre; questo almeno fino al momento di addormentarmi cullato dal fruscio rumoroso dell’automobile ma soprattutto dal rassicurante chiacchierare dei miei genitori seduti davanti.

Già, il rumore frastornante delle auto; oggi sono davvero più confortevoli … o sono io che non sento più bene?

Scherzi a parte sono davvero più silenziose ma, in compenso, il mio apparecchio acustico amplifica, in auto, soprattutto il fruscio e mi sembra di viaggiare con i finestrini aperti.

Con una velata malinconia penso che di quel mio mondo e di quelle avventure familiari non è rimasto più nulla se non quello che vive dentro di me.

In questo filo di pensieri che si inseguivano collegandosi l’uno all’altro, ho riascoltato tanti suoni perduti o lontani nel tempo, ma non dimenticati.

Il mio pensare mi ha fatto un bel dono: riportare al cuore voci, risate, respiri, bisbigli ma anche volti, profumi e sapori.

Il filo dei pensieri mi riporta a oggi, a questo viaggio di rientro dalla vacanza in Salento.

Così, mi ritrovo a mandare con la mente un saluto a tutto ciò che mi è rimasto nel cuore e negli occhi, al mare incantevole, ai tufi, alla terra rossa, al fascino delle masserie e dei frantoi ipogei, ai muretti a secco bianchi e perfetti; ho gli occhi pieni di bellezza.

Si torna.

Manca ancora una carezza e un abbraccio agli ulivi, figli preziosi di questa terra, fratelli così devastati e sofferenti.

Si torna. Guido in silenzio, ho riposto i ricordi in quell’angolo riparato, i chilometri scorrono.

Accanto a me Emanuela riposa. Il suo respiro è leggero ma non ho bisogno di sentirlo, lo conosco bene. Anche lei si addormenta serena in auto mentre guido, si fida di me. Andiamo a casa.

4 commenti
  1. Lorenzo
    Lorenzo dice:

    Sì, i ricordi dell’infanzia sono velati da una dolce malinconia ma restano eternamente autentici e puri.
    Grazie Vincenzo per averci permesso di conoscerli…
    Un abbraccio

    Rispondi
  2. Monica Mantovani
    Monica Mantovani dice:

    Le rose davanti a qualche filare di vite, un melograno tra gli ulivi: l’ornamento che addolcisce la fatica del lavoro.
    E il senso d’importanza che ti dava il nonno di grande statura, la sicurezza di affidarsi alla guida del papà che imitavi con il volante di polistirolo
    Tutto è vivo e pulsa insieme al tuo cuore.
    Quanta tenerezza!

    Rispondi

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