Il ricordo è ancora molto nitido nella mia mente, quando guardando l’orologio mi sono detta, …ecco…ci siamo, devo chiudere la valigia e chiamare il taxi, ho un volo che mi aspetta, destinazione…Canada occidentale!
Un viaggio che mi era stato proposto così per scherzo e che io, un po’ temerariamente, avevo accettato con grande entusiasmo.
A posteriori, credo che inconsciamente abbia voluto mettere alla prova la mia ansia da viaggio, mia compagna inseparabile da diversi anni dopo l’arrivo di Menny e che, fino a quel momento, aveva mio malgrado, condizionato le mie scelte di vita sia personali, che professionali.
Confesso, che anche in quell’occasione, in diversi momenti sia prima che durante il viaggio, l’ansia non ha mancato di farsi sentire e a volte anche prepotentemente, ma credo che il forte desiderio di fare quel viaggio mi abbia talmente ben predisposto mentalmente, da essere riuscita a gestire con serenità quei momenti di “mare in tempesta” e ho quindi potuto godere di ogni singolo attimo di quella che è stata la mia avventura canadese e che peraltro, si è rivelata ancora più bella di quello che mi ero immaginata.
Ed ora, eccomi qui, a raccontarvi di questi luoghi, che non solo mi hanno ammaliato per la loro bellezza, regalandomi momenti indimenticabili ed un senso di libertà ineguagliabile, ma ciò che mi ha colpito maggiormente è stato il fortissimo senso di rispetto verso l’ambiente e la natura, che ho ritrovato sia in grandi città come Vancouver, sia percorrendo autostrade passando da uno stato ad un altro e sia esplorando i diversi parchi naturali del Canada occidentale, ovunque un equilibrio perfetto tra civilizzazione e ambiente, dove l’uomo non ha avuto la presunzione di adattare l’ambiente a sé, ma viceversa, è stato l’uomo che si è adattato alla natura.
Prima meta di questo mio viaggio è stata la città di Vancouver.
Appena prima dell’atterraggio, guardando fuori dal finestrino dell’aereo, mi rendo subito conto del fascino di questa città, circondata da un’immensa distesa blu solcata solo da alcune scie bianche lasciate dalle barche, un litorale verdeggiante, fatto di tante piccole isole una più verde dell’altra e poi, il bagliore delle montagne con i suoi ghiacciai, che sembravano quasi sorvegliare la città con la loro imponenza.
Una cornice che mi conquista subito dandomi un senso di pace, che solo la bellezza della natura riesce a darmi.
E se il lato paesaggistico di Vancouver è da cartolina, non da meno il volto urbano della città, un connubio di stili e tradizioni con il suo susseguirsi di quartieri ognuno con la sua peculiarità.
La vecchia Gasttown, sito di interesse storico, con le sue vie acciottolate e con i suoi palazzi vittoriani, oggi trasformati in ristoranti, gallerie d’arte, boutique dove si vendono soprattutto opere dei nativi indiani e, meta famosa di tutti i turisti, l’ orologio a vapore; le animate vie gay friendly del West End; la Chinatown le cui costruzioni sono in tipico stile orientale, un mosaico di colori, profumi e suoni che ti conquista subito; Downtown con i suoi grattacieli che si specchiano nell’oceano; lo Stanley Park un polmone verde all’interno della città di circa 400 ettari di riserva naturale, ricca di giganteschi cedri e abeti, prati, laghi, totem indiani dai colori vivaci, ristoranti e piste per escursioni, per andare in bicicletta e fare jogging; il Suspension Bridge, che si trova in mezzo a una impressionante foresta pluviale ed è un ponte sospeso a 70 metri di altezza sul fiume e lungo 137 metri.
Una città che ho percorso a piedi in lungo ed in largo proprio per conoscere da vicino ogni suo angolo e per poter condividere questo suo lato cosmopolita, una fusione di culture provenienti dai tanti continenti, che mi ha fatta un po’ sentire una “cittadina del mondo”.
A malincuore lascio Vancouver per spostarmi verso sud, direzione Kelowna, il cui nome deriva da un termine nativo che significava “femmina di orso grizzly”. Appena arrivata, ho la sensazione di essere dentro una cartolina, tanto tutto è perfetto, pulito, colorato, profumato, persino le persone sono tutte sorridenti e ti salutano calorosamente, pur non conoscendoti. Insomma una cornice perfetta fatta di parchi, giardini curatissimi, fontane e numerosissime statue, tra cui quella dell’Ogopogo, il famoso mostro del lago. Ma quello che più mi ha sorpreso, peraltro da appassionata di vino, è stato ritrovare intere distese di vigneti, che fanno da corollario ad un paesaggio già di per sé incantevole.
Mai avrei pensato di trovare in Canada vigneti e cantine e men che meno, di cimentarmi in degustazione di vini canadesi.
Pur riconoscendo che i nostri vini italiani sono impareggiabili, devo ammettere di aver apprezzato alcuni vini bianchi autoctoni, per il loro sentore floreale e per la persistenza di sapori in bocca..che dire…chapeau! e non solo per i vini, ma anche per la bellezza architettonica delle cantine e la loro ubicazione, a ridosso di verdi colline, con terrazzamenti che arrivavano fino al lago, dove i vigneti vi si rispecchiavano, creando riflessi di un colore verde smeraldo.
Uno scenario sorprendente, un paesaggio naturale rimasto inalterato, nonostante l’insediamento umano.
Da Kelowna mi sposto a nord nello stato dell’Alberta, dove mi attendono due meravigliosi parchi, due straordinarie meraviglie della natura il Bannf e il Jasper National Park, situati sul lato orientale delle Rocky Mountains canadesi e dichiarati patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 1984, proprio per la loro eccezionale bellezza naturale e per le loro caratteristiche glaciali e geologiche, che li rendono unici al mondo.
Per raggiungere i due parchi percorro in auto per circa 230 km la Icefields Parkway (Strada dei ghiacciai), il cui nome rende giustizia alla maestosità dei paesaggi che si attraversano, caratterizzati da innumerevoli ghiacciai, cascate, laghi color blu zaffiro, imponenti montagne e una fauna mai vista, che appare all’improvviso dietro ogni curva: cervi, orsi grizzly, lepri, volpi, che passeggiano tranquilli ed indisturbati.
Davvero impossibile menzionare tutti i laghi, i ghiacciai e le cascate che si incontrano lungo questo percorso.
Menziono solo alcuni dei posti visti: il Peyto Lake di un colore blu intenso. Io l’ho visitato di mattina presto, quando il sole iniziava ad illuminare le sue acque, un posto incantevole, che infonde un senso di pace e di serenità;
le Athabasca Falls spettacolari cascate, che diventano impetuose in estate quando vi si riversa l’acqua disciolta dei ghiacciai;
Lake Louise un vero e proprio spettacolo della natura, circondato da un anfiteatro di imponenti montagne, che sembrano disegnate con la matita, tanto i tratti sono perfetti;
il Maligne Lake tra i più pittoreschi, con le sue acque azzurre e le sue vette incappucciate di neve, che ne fanno una cornice da immortalare.
E che dire poi, delle escursioni fatte lungo questi parchi, tra foreste, paludi fluviali, cascate e hoodoos, che sono pilastri di roccia ricavati dal vento e dall’erosione dell’acqua, ed ancora le lunghe camminate, con i loro sentieri tanto ben segnalati e puliti, quanto ancora molto selvaggi e naturali.
E così, tra un’escursione e una passeggiata il mio viaggio giunge al termine e come sempre mi succede, mi lascio travolgere da un senso di nostalgia, per quei giorni appena trascorsi, per quei luoghi visitati, per le persone conosciute, momenti che passano nella mia mente in sequenza e le cui emozioni provate le risento sulla pelle con tale intensità da farmi vibrare cuore e mente.
Sensazioni che ancora adesso mentre scrivo mi scaldano il cuore a tal punto, che in certi momenti ho avuto come la sensazione di essere ancora là tra le Rocky Mountains, nel cuore della natura, dove per la prima volta mi son sentita un tutt’uno con l’ambiente che mi circondava e nello stesso tempo pervasa da un senso di libertà mai percepito prima.
Ed è proprio questo il lato più bello di questo mio viaggio.
La bellezza di aver toccato con mano, che si può tornare ad un rapporto autentico e vero con la natura che ci circonda, un rapporto soprattutto basato sul rispetto dell’ambiente dove viviamo, che è una fonte inesauribile di ricchezza e di benessere.
Elena Bosani
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