Un orecchio di bellezza

Voce del verbo accettare

“Eh?”
“Cosa?”
“Non ho capito, puoi mica ripetere?”
“Ma cosa sei, sordo???”

Alzi la mano chi non si è mai ritrovato ad avere uno scambio di battute del genere! Non importa se tra amici, colleghi, familiari o semplicemente in un negozio. Vedo tutte quante le vostre mani alzate, tanto quanto la mia. Perché è inutile girarci attorno, siamo tutti sulla stessa barca. Chi è salito a bordo da una vita, chi da anni o chi da pochi mesi, poco conta.Siamo una simpatica banda di sordi. Io per esempio lo sono, solo a sinistra, fin da quando ero piccolissima. Il mio orecchio lo definisco “di bellezza” perché la sua funzione è davvero limitata a dare simmetria al mio viso, a reggere su gli occhiali da sole o ad appenderci un bell’orecchino, per il resto è totalmente inutile.Ma gli voglio comunque un sacco di bene. C’è voluto parecchio tempo per accettarlo e per comunicarlo agli altri. Prima lo vivevo come un difetto enorme, qualcosa di cui vergognarmi, da nascondere il più possibile. Ad esempio, per non far accorgere gli altri della mia carenza di udito, ho imparato a leggere il labiale quasi perfettamente (e devo dire che questa è una cosa comodissima ancora oggi).

Voglio così bene al mio orecchio sordo da averci fatto un bel tatuaggio!

Basta parlare di me. Veniamo al sodo. Accettare i nuovi limiti che la malattia ha portato con sé non è facile. L’accettazione è un percorso che ognuno deve percorrere con i propri tempi, non si può forzare. Specialmente perché la nostra malattia agisce su ognuno di noi in modi molto spesso diversi. E poi ci sono molte altre variabili, come i nostri caratteri, la nostra età, il nostro fisico, la sensibilità di chi ci sta attorno e molto altro ancora.

Ho pensato che potesse essere utile scambiare quattro chiacchiere in merito all’accettazione con Laura Citella, psicoterapeuta e malata di Menière come tutti noi.

Ecco qui quello che ci siamo dette!

M:“In una malattia come la nostra, che ci colpisce in modo quasi inaspettato, il processo di accettazione può essere molto faticoso. Come prima cosa volevo chiederti, tu come definiresti l’accettazione?”

L:Frequentemente la diagnosi di Malattia di Menière viene comunicata a seguito di numerosi accertamenti ed esami, ed essere informati che una sintomatologia, spesso così invalidante, ci accompagnerà tutta la vita, ci lascia piuttosto angosciati.

La patologia cronica entrerà a far parte della nostra quotidianità, avrà periodi più o meno lunghi di remissione, ma spesso ci costringerà a delle limitazioni da un punto di vista nutrizionale, o di gestione pratica della giornata, o ancora ci spingerà ad affrontare una revisione dello stile di vita, con il timore che in alcuni momenti avremo bisogno dell’altro per far fronte alle nostre necessità.

Questo spinge il malato di Menière ad un adattamento alle nuove condizioni di vita, alla creazione di una nuova “identità” di malato cronico: l’immagine che noi mostriamo agli altri, e di conseguenza l’immagine che avremo di noi stessi, dovrà esser riconsiderata per integrare questi aspetti nuovi, inaspettati e non piacevoli.

Dipendere dall’altro ci fa sentire inadeguati, non sapere quando arriverà una crisi ci fa sentire vulnerabili, non avere una cura efficace ci fa sentire impotenti.

Accettazione significa fare i conti con ciò che abbiamo, partire da uno stato di realtà per progettare il futuro, senza rabbia nei confronti di una patologia che fa parte di noi e che conoscendo meglio possiamo affrontare in modo più adeguato.

Non è resa incondizionata, ma utilizzo delle nostre energie in modalità più appropriate, per migliorare la nostra qualità di vita, preparandoci ad accettare, talvolta, elementi di incertezza ed imprevedibilità propri della malattia.

Accettare significa comprendere che noi abbiamo la Malattia di Menière, ma non siamo la nostra malattia. Noi siamo anche molto altro.

È vero, abbiamo dei periodi di difficoltà, di sofferenza, ma questa patologia ci può anche insegnare ad avere più attenzione per noi, più cura del nostro corpo, più rispetto dei nostri limiti fisiologici.

M:“Per alcune persone può essere più o meno semplice venire a patti con la nuova realtà che la malattia comporta. Quanto pensi sia importante prendersi del tempo per capire la malattia e quanto invece distrarsi da essa?”

L:Penso che siano entrambi aspetti importanti: da un lato capire cos’è la Malattia di Menière ci può aiutare a gestirla meglio. Avere accortezze che, modificando il nostro stile di vita, possono ridurre le vertigini o seguire percorsi per migliorare il nostro senso dell’equilibrio (per esempio la rieducazione vestibolare), sono azioni che dimostrano un’adeguata presa di coscienza di ciò che abbiamo, un comportamento adulto e rispettoso di una parte di noi, senza però incorrere nell’errore di ritenerci solo dei malati cronici.

Come dicevo poc’anzi, questa è solo una parte di noi e vivere la nostra vita pienamente, senza farci condizionare troppo dalle paure, ha effetti estremamente positivi.

Trascorrere invece le nostre giornate in un costante senso di allerta, in attesa di ciò che potrebbe accadere, ha come effetto l’aumento del carico di stress, fattore che, come sappiamo, contribuisce alla comparsa delle crisi vertiginose.

M:“Ci sono esercizi o attività che possono aiutarci
ad arrivare all’accettazione della malattia?”

L:In una prima fase della malattia può essere utile farsi accompagnare in un percorso psicologico, quando ci si rende conto che siamo in difficoltà di fronte alla corretta gestione della patologia o all’accettazione di essa.

Alcune tecniche di rilassamento utilizzate nella Terapia Cognitivo-Comportamentale come il “Rilassamento Muscolare Progressivo” di Jacobson e il “Training Autogeno” di Schultz, o ancora il protocollo “Mindfulness Based Stress Reduction” (MBSR) utilizzato per ridurre lo stress di malati cronici attraverso un percorso strutturato, possono portare molti benefici ai malati di Menière. In modo particolare la Mindfulness, portando l’attenzione al momento presente in modo non giudicante, consente maggior consapevolezza e accettazione, riducendo lo stato di sofferenza e di stress causati dalla patologia cronica.

M:“Quanto è importante il contributo di chi ci sta attorno e quanto l’affrontarlo da soli, in termini di venire a patti con la malattia? Io per esempio, quando sto male, avviso gli altri ma poi preferisco fare affidamento sulle mie forze.”

L:Accettare di avere una patologia cronica può anche voler dire trovare il giusto equilibrio tra ammettere di aver bisogno dell’altro e voler fare da soli.

Nessuna delle due circostanze deve però risultare una forzatura: alcuni di noi possono sentirsi bisognosi e avere la necessità del conforto dell’altro, altri hanno ritrosia nel manifestare le debolezze e fanno affidamento sulle proprie capacità.

Ciò che conta è fare una valutazione obiettiva delle risorse che abbiamo, sotto ogni punto di vista e non temere di chiedere aiuto quando sentiamo che da soli non ce la facciamo.

Anche in questo caso un accompagnamento e un sostegno psicologico possono essere molto utili, soprattutto nelle prime fasi della malattia.

M:“Quale consiglio ti sentiresti di dare a chi ha
appena scoperto la malattia o a chi fa fatica ad accettarla?”

L:Di affidarsi e fidarsi di coloro che conoscono bene la Malattia di Menière come i membri dell’Associazione AMMI, di medici che possono consigliare terapie adeguate e di psicologi che con la loro formazione possono contribuire ad affrontare gli aspetti emotivi legati alla patologia, supportando la persona nel percorso verso una maggior accettazione e quindi maggior benessere.

Mimi

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