Lontano da casa

Una delle prime crisi che ebbi nella mia vita mi capitò durante la mia esperienza di vita in Irlanda, a Dublino. Ricordo che ero in camera di mia sorella, che ha vissuto lì per 6 anni, e all’improvviso tutto ha iniziato a girare senza sosta. Non devo starvi a descrivere la sensazione che provai, non fu una crisi con vomito, ma ricordo che riuscii a trascinarmi nel letto e mentre me ne stavo lì, poco prima di addormentarmi, mi chiedevo cosa diavolo mi stava succedendo.

Prima di avere una risposta a quella domanda sono dovute passare crisi e soprattutto parecchi anni, ma ora eccomi qui, consapevole della mia malattia e di come affrontarla.

Mi sono chiesta però come sarebbe andata se invece avessi vissuto all’estero, come si vive e si affronta una malattia avendo a che fare con medici e soprattutto una lingua straniera. In fin dei conti, pur nella sfortuna di avere una malattia, noi possiamo affrontarla nel nostro paese, parlando la nostra lingua e avendo un grande gruppo di supporto come l’AMMI.

Mi è quindi venuta in mente una persona del gruppo, estremamente positiva. Dico così pur non conoscendola, ma dai suoi post questo è quello che percepisco ogni volta. Positività e grande forza.

Lei è Gabriella e vive in Germania. Ho pensato di fare due chiacchiere con lei per provare a capire cosa significhi essere un malato di Menière al di fuori dell’Italia.

M:“Intanto volevo chiederti da quanto tempo vivi all’estero! E poi se la malattia è comparsa quando ti eri già trasferita o prima.”

G:Mi sono trasferita in Germania esattamente venti anni fa, nel settembre 1999. Nel 2005, durante un periodo di grande stress lavorativo, ebbi un paio di svarioni, durante i quali la scrivania si mise a ballare, ma furono due o tre episodi al massimo, durati solo una manciata di secondi. La prima ipoacusia è arrivata nell’aprile del 2008. Mi trovavo in Italia in seguito alla morte improvvisa di mia nonna, dalla quale non avevo potuto prendere congedo, e al cui funerale non avevo potuto partecipare perché mio figlio di un anno e mezzo in quel periodo non stava bene. Il giorno in cui andai al cimitero e in cui ritornai nella casa vuota di mia nonna fu per me un forte shock.

Dopo un paio di ore arrivò la prima ipoacusia, gravissima. Mia mamma cercò di calmarmi, dicendomi che probabilmente si trattava solo di un tappo di cerume! Un paio di giorno dopo rientrai in Germania e andai dall’otorino per ‘farmi togliere il tappo’. Ricordo la faccia preoccupata del dottore nel dirmi: ‘Non si tratta di ciò che pensa Lei…Probabilmente è un Hörsturz, vada a casa e torni più tardi senza il bambino per fare un esame.

Ricordo come se fosse ieri la ricerca nel dizionario della parola Hörsturz (perdita improvvisa dell’udito) che io non avevo mai sentito in vita mia.

Dopo aver fatto l’esame audiometrico l’otorino confermò che si trattava di un’ipoacusia molto grave e che dovevo iniziare subito a fare un ciclo di flebo e a prendere del cortisone in dosi altissime. Dopo una decina di giorni l’udito ritornò quasi all’improvviso, ma le ipoacusie ovviamente ritornarono più volte nelle settimane e nei mesi successivi, anche se mai così gravi come la prima. A dicembre dello stesso anno decisi di andare da un otorino di Asti durante le vacanze di Natale. Fu lui a parlarmi, per la prima volta, della Malattia di Menière (nel frattempo, in Germania, avevo consultato parecchi otorini ma nessuno di loro me ne aveva mai parlato).

Da una parte mi sentivo sollevata, la mia malattia finalmente aveva un nome, dall’altra le vertigini mi spaventavano: ‘Magari a me non vengono’ pensai.

Arrivarono un anno dopo, quando il mio secondo figlio aveva due mesi…

M:“Come si vive da malati all’estero? Nel senso, la malattia è più o meno conosciuta rispetto all’Italia?”

G: Fuori casa, secondo me, le malattie si vivono sempre peggio di come si possano vivere a casa propria. Per una malattia come la nostra, che comporta una cattiva comprensione del parlato, è peggio ancora. Io ho una buona comprensione del tedesco, ma quando rientro in Italia mi rendo conto di quanto sia – a pari condizioni di udito – più facile capire le persone che mi stanno intorno.

La malattia mi sembra poco conosciuta dai non addetti ai lavori, proprio come in Italia.

In quasi dodici anni di malattia ho incontrato solo una persona che sapesse di cosa si tratta. Per quanto concerne i medici, all’inizio della malattia sono stata molto sfortunata e alcuni dottori mi trattavano come se fossi pazza, ma so che la stessa cosa è successa a tante persone in Italia!

Ci tengo però a ripetere che la diagnosi di Menière in Germania arrivò quattro anni dopo la diagnosi italiana.

M:“Hai qualche gruppo di riferimento, conosci qualche altro malato?”

G:Anni fa mi ero imbattuta in un gruppo di autoaiuto tedesco, ma non mi ero trovata troppo bene.

I tedeschi sono molto riservati e restii a parlare dei loro problemi, le ‘conversazioni’ erano troppo asciutte e impersonali per i miei gusti.

Poco tempo dopo scoprii il gruppo Facebook della AMMI e abbandonai quello tedesco. So che c’è un’associazione per malati fondata da un otorino malato di Menière. Dal sito internet mi sembra di capire che si tratti di un’associazione seria, ma molti contenuti sono riservato solo agli associati, così come lo è la newsletter. Sul sito sono pubblicati i nominativi di alcuni volontari che organizzano incontri regionali, ma nella regione dove vivo io non si tengono incontri.

M:“Quanto è importante il contributo di chi ci sta attorno e quanto l’affrontarlo da soli, in termini di venire a patti con la malattia? Io per esempio, quando sto male, avviso gli altri ma poi preferisco fare affidamento sulle mie forze.”

G:Accettare di avere una patologia cronica può anche voler dire trovare il giusto equilibrio tra ammettere di aver bisogno dell’altro e voler fare da soli.

Nessuna delle due circostanze deve però risultare una forzatura: alcuni di noi possono sentirsi bisognosi e avere la necessità del conforto dell’altro, altri hanno ritrosia nel manifestare le debolezze e fanno affidamento sulle proprie capacità.

Ciò che conta è fare una valutazione obiettiva delle risorse che abbiamo, sotto ogni punto di vista e non temere di chiedere aiuto quando sentiamo che da soli non ce la facciamo.

Anche in questo caso un accompagnamento e un sostegno psicologico possono essere molto utili, soprattutto nelle prime fasi della malattia.

M:“Hai qualche consiglio da dare a chi vive all’estero e si trova ad affrontare la malattia da poco?”

G:Penso che sia importante essere, come dice spesso Nadia, ‘malati informati’. Per me è stato fondamentale, avere la possibilità di documentarmi e leggere materiale nella mia lingua. Inoltre è importante informarsi sulle cure e sulle terapie in entrambi i Paesi, quello di origine e quello di adozione. Nel nostro caso ci sono approcci – filosofie, oserei dire – differenti. E a quel punto è possibile approfittare del più ampio spettro di possibilità che il vivere all’estero in questo caso offre.

Mimi

2 commenti
  1. Gabriella
    Gabriella dice:

    Grazie Mimi. Grazie per avermi ascoltata e per avermi fatto rivivere l’esordio della malattia. È stato difficile, ho pianto facendolo, ho pianto leggendo, ma è stato catartico. Grazie di cuore per quello che tu fai per tutti noi, con il cuore.

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