Comunicare a colori

Affidarsi – verbo riflessivo derivante da affidare (dal latino fidus «fidato»):

  • Proteggere, garantire
  • Rimettersi alla protezione, alla benevolenza di qualcuno

Quando nasciamo, una delle prime cose che impariamo incondizionatamente a fare è quella di affidarci. In primis ai nostri genitori, poi alla nostra famiglia ed in seguito agli amici e a coloro con cui scegliamo di dividere la nostra vita.

Avere una malattia credo che, in un certo senso, ci riporti indietro all’infanzia in quanto ci costringe, che lo si voglia o no, a tornare a dover fare affidamento sugli altri. Ma questa volta non solo tra quelli della nostra cerchia più stretta. Prima fra tutti compare la figura del medico.

Tutti noi, o quasi, sappiamo quanto sia stato difficile, nel nostro percorso di scoperta e conoscenza della Menière, trovare un medico che, non solo prendesse sul serio i nostri sintomi – senza liquidarli con la solita scusa dello “stress” – ma anche che sapesse darci una definizione e sapesse indicarci la via giusta per alleviare e rendere sopportabile la convivenza con essa.

io e mio padre

(io e mio padre di ritorno dalla visita, si vede che ero contenta?!)

A me, per esempio, ci sono voluti 15 anni affinché qualcuno desse un nome a quello che mi stava capitando. E ancora adesso ricordo quel giorno come uno dei più belli mai vissuti.
Anche arrivare finalmente a una diagnosi, però, non significa riuscire a fare affidamento sugli altri o quanto meno riuscire ad accettare di doverlo fare perché quando la Menière arriva, nella sua forma più violenta, non ci lascia altra scelta che quella di dipendere dagli altri. Chiedere aiuto.
Ognuno di noi deve trovare la modalità migliore per farlo. Non si tratta di giusto o sbagliato, si tratta di trovare un equilibrio, un modo corretto per noi di comunicare.

Perché non sta scritto da nessuna parte che l’unico modo per farlo debba essere per forza parlare. Ci sono così tante forme di comunicazione non verbale che ci possono aiutare ad esprimerci, a chiedere aiuto, a metabolizzare. Dobbiamo solo trovare quella più adatta a noi.
Io, per esempio, scrivo.
Scrivo da quando ero ragazzina e l’ho sempre fatto più per me stessa che per altri. Scrivere alleggerisce il peso che sento sulle spalle, mi libera dalle tensioni che accumulo e mi permette di vedere in modo più chiaro quello che sto affrontando, trovando soluzioni che avevo sotto gli occhi ma non ero in grado di vedere.
Avere una valvola di sfogo è fondamentale, nella malattia e nelle avversità più che mai.

colori

A questo proposito ho posto qualche domanda a Laura Viola, malata di Menière e pittrice:

M:Come prima cosa volevo chiederti da quanto tempo dipingi e se
la pittura ha sempre fatto parte della tua vita

L:Si, credo davvero che disegno e pittura abbiano sempre fatto parte della mia vita.
Alla Scuola Materna ricordo che venivo spinta ad abbandonare matite e colori perché non facevo altro che disegnare!
Poi, il mio percorso di studi ha perseguito questa passione, incanalandola verso una vera formazione.
Prima il Liceo Artistico, poi l’ Accademia di Belle Arti; e anche se spesso è stato difficile scegliere fra le altre mie passioni, ovvero la Letteratura, la Poesia e il Cinema, ho sempre cercato di intrecciarle tra loro.
Infine, con molta ostinazione, pazienza e perseveranza, sono diventata docente di Arte , Discipline Pittoriche e Storia dell’ Arte

M:L’arte, in ogni sua forma, ha una funzione in un certo senso catartica. Quanto dipingere ti aiuta nella vita di tutti i giorni?

L:Vero. L’ arte ha anche una funzione catartica.
Tuttavia è soprattutto COMUNICAZIONE, nella sua forma più alta.
Interrogativo, scavo, ricerca, percorso, tentativo di risposta.
Un filtro per cercare di decodificare ma anche esaltare la vicenda umana.
Molto spesso pone solo domande, e quindi ha una sua buona parte di fatica anche perché raramente gli obiettivi prefissati vengono raggiunti con facilità.
Presuppone rischio e coraggio, identificazione e anche cadute e fallimenti.
Insomma la similitudine con le sfide quotidiane, nei filtri più intensi del “sentire” umano è evidente.
Sinceramente, non so se mi “aiuta”, perché per me dipingere è soprattutto un BISOGNO, una NECESSITÀ.
Di certo, è un veicolo prezioso, insostituibile per il contatto del Sé con il mondo.”

M:“Credi che dipingere, anche essendo principianti, possa aiutare ad accettare e vivere più serenamente la malattia? Permettere di tirare fuori paure, ansie e anche arrabbiatura nei confronti della Menière?”

L:Credo che QUALUNQUE mezzo per uscire dal vortice di paura ed impedimenti che provoca la malattia sia utile, anche se penso che le ricette siano individuali.
A esempio, per me, all’esordio della malattia, la frustrazione era cocente perché ero abituata a dipingere su superfici vaste e spesso a terra, con tecniche e pigmenti che non potevo permettermi, assediata dalla Giostra Malefica.
Insomma, la pittura era un rimarcare, un cambiamento di gesti, possibilità e modi che mi avviliva e mi portava a vedermi sotto una luce di sole mancanze e rinunce.
Fu molto dura, tanto da portarmi a una parziale sospensione.
Mi aiutò moltissimo (come da sempre, anche prima, per ogni difficoltà), invece, descrivere stati d’animo e passaggi in un diario (che tengo dall’età di 12 anni) che continua e, credo, continuerà sempre.
Fu attraverso la scrittura, che di per sé può essere fruita e gestita anche in condizioni fisiche abbastanza miserevoli, che riuscii a impossessarmi nuovamente della pittura.
Quindi immagino che la risposta possa venir fornita dalla propensioni e da istintivi meccanismi di difesa personali.

M:“Quale consiglio ti sentiresti di dare a chi non ha mai dipinto
ma vorrebbe iniziare a farlo?”

L:Sinceramente: “studiare”! Ovvero, leggere di opere e di artisti, frequentare gallerie, musei, mostre.
“Respirare” l’aria che può dare stimoli, stupori, ma anche esempi di convergenze al proprio sentire e vedere.
Non è mai una falciatura di originalità, il confronto, ma una ripercussione, una eco che permette di capirsi meglio e più profondamente. Una propagazione di consapevolezza e di intenti.
Poi si può scoprire di essere maggiormente predisposti al disegno, alla grafica, alla pittura, a una tecnica o a un’altra (e anche la sperimentazione su più fronti, con molta attenzione e umiltà è importantissima), ma non bisogna mai perdere di vista che l’espressione è un movimento dall’Interno verso l’Esterno e, in quanto tale, presuppone un percorso di scoperte.
E come per ogni percorso, mai aspettarsi risultati immediati, definitivi.
È fondamentale riconoscere nello sbaglio un’opportunità per reinventare una forma, un soggetto.
Applicare la legge primaria della Creatività, insomma: trovare soluzioni nuove a problemi vecchi e ricorrenti.
E mi sa, che noi Forzati Equilibristi, diventiamo per forza ” maestri”, in questo.

Mimi

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